COMPLESSO degli INCURABILI

Gli ospedali degli Incurabili in Italia

 

Ospedale di San Marco e degli Incurabili [CATANIA - CT]

Piazza Stesicoro, anni 1930 - sulla destra l'ex ospedale San Marco
Piazza Stesicoro, anni 1930 - sulla destra l'ex ospedale San Marco

1336 (?) fondazione dell’Ospedale San Marco [1,3,5] .

1373-1391, il Senato delibera la fabbricazione dell’Ospedale accanto alla chiesa di San Marco [5].

1396, anno di fondazione dell’Ospedale dell’Ascensione, diverso dal San Marco, da parte di Bartolomeo Altavilla, giudice della Regia Curia. I locali ospedalieri, o di un semplice ospizio, erano annessi alla chiesa dell’Ascensione (esistente fino alla metà del ’500), oggi ex collegio dei Gesuiti che fu Reale Ospizio di Beneficenza1,3,4,5.

1445, bolla di Eugenio IV per l’unificazione degli ospizi ed ospedali catanesi all’Ospedale San Marco, nei locali e isolati prospicienti a ponente la piazza della fiera lunare (Foris lunaris) e la strada della Luminaria a levante3,5,9.

1565, privilegio del vescovo Nicola Maria Caracciolo (Napoli, 1537-1568) per l’unificazione del San Marco con l’Ospedale degli Incurabili2.

1567, e per tutto il ’600, il nuovo Stabilimento si chiamò Ospedale di San Marco e degli Incurabili.

1636, l’edificio sede dell’Ospedale San Marco è finalmente ampliato e rimodernato, con 25 posti letto, molte botteghe, magazzini, panetteria e macelleria o chianca4, grazie ad un legato dei coniugi Rizzari e Tabbuso del 1609, comprendente otto botteghe, un “tenimento” di case e magazzini in contrada del porto, un altro “tenimento” di case, due tenute gabellate, censi bollali per circa 60 onze e censi enfiteutici per circa 50 onze6. È riportato in documenti del 1620 che l’Ospedale “era situato nella piazza della fera del lunedì e piazza San Martino, confinante con le vie pubbliche per lo levante e ponente e tramontana, e con le case del spett.le don Pietro D’Amico per lo mezzogiorno, sotto del quale sono diverse botteghe et alcuni magazzeni, cappella seu chiesa sacramentale con cappellano eletto dalli rettori e sua cammara nell’hospidale. Nella spezziaria sotto detto hospidale si pagano le medicine e i medicamenti di conforme alla tassa del Protomedico diminuita della terza parte. L’ammalati sono governati per due medici, cioè il Protomedico e per un chirurgo, li quali come lettori dell’almo studio della città hanno carico di aiutare detti ammalati gratis e senza pagare. Suole tenere esso hospidale il numero di quattro incurabili”6. Nel rivelo del 1651, presentato dai rettori al vescovo Marco Antonio Gussio appena nominato (poiché l’Ospedale era stato fondato dalle elargizioni dei fedeli per i poveri il vescovo aveva il diritto di visita dell’Ospedale secondo il Diritto canonico vigente e le costituzioni del Concilio di Trento6, canoni VIII e IX, allo scopo di vegliare sul culto divino, la salvezza delle anime e sulla possibile negligenza degli amministratori quantunque laici), vengono dichiarati redditi provenienti da 15 botteghe nel palazzo ospedaliero e nei dintorni, di tre case nella piazza della Fiera e nei dintorni, di una casa alla Porta di mezzo e della gabella della bilancia della Fiera.

1684, l’Ospedale San Marco si trasferisce nell’ex monastero femminile di Santa Lucia, ad ovest della città, nel suo punto più alto vicino alle antiche mura, al margine della colata lavica del 1669. Nella veduta di Catania riportata nel libro di Liliane Dufour e Henri Raymond [7], a p. 196, è indicato chiaramente il sito (questa indicazione fa sorgere il dubbio che l’ospedale sia lì presente già prima del 1669; quindici anni di coesistenza in due siti ?!). Ad indicare il luogo oggi rimane la via detta “dell’Ospedale vecchio”, all’inizio della quale è la chiesa settecentesca (1775) di Sant’Agata alle sciare. L’Ospedale era in fondo a detta via, sulla sinistra, guardando verso l’attuale via Plebiscito. Così l’Ospedale cedette (fuga dall’insalubrità urbana) o fu costretto a cedere (cacciato per pubblica calamità dal coacervo di interessi aristocratico-clericali) l’edificio che prima occupava all’Università retta dal Vescovo-Cancelliere (Atti notaro Francesco Pappalardo del 1684. Dalla cassa delle Tre Chiavi dell’Almo Studio furono spese 600 onze per “la fabrica del novo ospidale nello loco del monastero vecchio di S. Lucia, e della casa dell’Almo Studio medesimo”11; Atti notaro Agatino Russo8 del giugno 1684). Quest’ultima vi esercitò vantaggiosamente il suo magistero fino al grande terremoto, dietro pagamento allo stesso Ospedale di un censo enfiteutico di 97.88 ducati8 (nel 1825 il censo enfiteutico registrato nello Stato Discusso era del valore di 88,9 ducati) (altra stima del G. Sorge3 è di 38,21 onze), mantenendovi alcune botteghe di proprietà, tra le quali una chianca. L’Ospedale nel sito di Santa Lucia fu distrutto dal terremoto del 1693.

1693, dopo l’evento sismico (“doue…Ospidali del Infermi ?” .. “si videro gli infermi senza ristoro” così dice frate F. Privitera nel suo libro Dolorosa tragedia rappresentata nel Regno di Sicilia nella città di Catania, Catania 1695), l’Ospedale San Marco ritornò molto vicino al luogo che occupava due decenni prima, trasferendosi provvisoriamente in locali (baracche di legno ?) presso il sito dove sorgerà, nel primo Settecento, il nuovo monastero benedettino di San Giuliano (oggi via di San Giuliano angolo via Crociferi), riattivandosi subito (G. Sorge da Reguleas G., Orazione inaugurale AA. 1839-1840) (L. Dufour, assegnazione da parte del Duca di Camastra del “sito del nuovo ospedale”; cita lettera presso ASP Real Segreteria), lasciando e rivendendo negli anni successivi i casaleni distrutti a Santa Lucia che confinavano a nord con il monastero di S. Nicolò l’Arena. Poco tempo dopo (1709)7, l’Ospedale migrò in locali presso il vecchio e ricco monastero di San Giuliano, delle monache benedettine, rinomato per la sfarzosità della sua chiesa e quasi interamente distrutto dal sisma, nella Civita ad est della città, in contrada Porta di Ferro (ove oggi è la chiesa di San Gaetano da Thiene, a metà del ’700 in uso ai PP. Teatini)3. Il “compreso di case, magazzeni e fabriche” confinava con la via pubblica a tramontana, ponente e mezzogiorno, ed a levante con le antiche mura della città6. Sul terreno ceduto dall’Ospedale fu subito avviata la costruzione del nuovo monastero benedettino di San Giuliano e della chiesa (1711). La badessa e la maggior parte delle monache (60 su 74) erano morte sotto le rovine del terremoto. A cura della nuova badessa, nel gennaio del 1694, si iniziarono dei lavori per rifare la clausura nella contrada della Civita, ed i lavori furono continuati nel 1698, dietro accensione di un mutuo di 460 onze9. Lo scambio di posto deve aver avuto un certo vantaggio per entrambi i contraenti, vantaggio concreto che al momento sconosciamo. 

1720-7, trasferimento nel palazzo fatto costruire dal conte-medico Tezzano (inizio lavori 1709), su progetto di Alonzo di Benedetto. Nel 1727, i rettori dell’Ospedale chiedevano al vescovo il permesso di alienare il vecchio, pericolante e scomodo fabbricato della Civita, dove ancora erano ricoverati ammalati e bastardelli, per ricavare il denaro sufficiente per completare “lo spetale novo” e per il trasferimento di questi ultimi6. La fabbrica ed il terreno furono comprati dal duca di Tremestieri, Francesco Rizzari, e dal barone Giuseppe Valle, pro persona nominanda, per 600 onze6.
Ospedale civico-militare (dal 1822), era capace di 200 posti letto. Per il ricovero, in realtà ne utilizzava un centinaio, suddivisi in un corridoio per gli uomini paesani, un corridoio per le donne ed un altro per i militari. Il Duca Paternò Castello di Carcaci dice, nella sua Descrizione di Catania del 1841, che “ha sale spaziosissime, chiesa, acqua corrente, farmacia e teatro anatomico”.

1755, apertura dell’Ospedale Santa Marta, Maria Maddalena e Lazzaro (civico-militare dal 1818) nella strada Quattro Cantoni, n° 106. Fondato solo sulla carità cristiana, prestandosi alla cura di ogni sorta di malattie chirurgiche ed alla pubblica istruzione, era privo di sostegno economico da parte del Comune. Esso traeva origine legale dall’Atto del 29 luglio 1759, giorno di Santa Marta, rogato dal notaio Pietro Di Marco, e dal definitivo dispaccio reale del 4 ottobre 176012. I fondatori furono il sac. Pietro Finocchiaro ed i suoi coadiutori, sac. Carlo Finocchiaro, sac. Vincenzo Leonardi, sac. Domenico Russo dei Baroni di S. Giorgio, sac. Fabrizio Alessi, sac. Girolamo Alessi, sac. Francesco Amato, Carlo Pio Zappalà Gemelli, primo rettore, Francesco Di Paola barone del Toscano, Pietro Tedeschi barone dell’Annunziata. La lettera del 3 gennaio 1757, firmata dal viceré Marchese Fogliani, comunica la sovrana approvazione dell’Opera che “socorra en modo especial, y con limosuas corrispondente a la necessitad, a todas a quellas personas miserables, llagadas y estropeadas, que recogidas del los caminos y calles pubblicas, se hallan, per lo zelo de los pios ecclesiasticos, refugiadas en casa del sac. Don Pedro Finocchiaro”12. I sacerdoti operai dovevano essere otto, e di diritto erano il Vicario Generale, il capo del Capitolo della Cattedrale ed il rettore della chiesa della Collegiata o di Santa Maria dell’Elemosina. Riuniti nella chiesa del Santa Marta essi eleggevano il rettore dell’Ospedale, con carica annuale, rinnovabile, col sistema del    bussolo.

Nella chiesa, come in quella dell’Ospedale San Marco, si celebravano le messe solenni per i benefattori, al suono di un organo riparato sovente dall’abile artista dei Padri Cassinesi18, la festa di Santa Marta e Quarant’ore, il 29 luglio (spese onze 5 nel 1835 e nel 1838) e gli esercizi di Quaresima. 
 
1786, apertura del Reclusorio del Santo Bambino, fondato dal sac. Pietro Giuffrida nel 1782. 
 
1800, inaugurazione del nuovo Teatro anatomico al San Marco, di proprietà della Regia Università, curato e voluto dal professore Sebastiano Bianchi, allievo del professor Cotugno a Napoli. 
 
1819, agosto, il primo Ufficio di Intendenza, diretto dal duca di Sammartino, affittò dall’Ospedale San Marco il quarto nobile di levante, sulla via Stesicoro Etnea, il soprastante piano dei mezzanini e due stanze al pianterreno, accanto al portone, del palazzo Tezzano, pagando 750 ducati annui (250 onze). Nei mezzanini, cioè due stanze con focolari e cucina indipendente, avevano fino ad allora abitato il medico maggiore Petrosino e il chirurgo Calcedonio Reina10. L’amministrazione dell’Ospe-dale, comprendente un Direttore generale (cav. don Pasquale Sammartino) ed un Economo, dipendeva allora dal Consiglio Generale degli Ospizi della Provincia di Catania. Per i nuovi Tribunali furono appaltati a mastro Antonio Platania lavori per 354,18 onze, previsti nella perizia di ristrutturazione dell’architetto Salvatore Zahra Buda10.

1818-24, il terremoto del febbraio del 1818 causò consistenti danni alla fabbrica del Santa Marta. Le volte dei due cameroni al secondo piano furono lesionate e quindi ricoperte con travi e tegole, permettendo il loro uso solo nelle stagioni non piovose. Si ricorse anche alla costruzione di baracche per gli infermi nel cortile. Il primo stanziamento di 600 ducati per le riparazioni fu deliberato nell’agosto del 1819. Esso si rivelò insufficiente tant’è che fu utilizzato, in anticipazione, per la “vittitazione” dei militari ricoverati. Nel 1821 la Spedalità militare non aveva ancora provveduto alla restituzione. La perizia per i lavori di riparazione dei danni, fatta dal prof. Salvatore Zahra Buda e dal sac. don Giovanni Fragalà architetto, fu di 3.280 ducati. Essa comprendeva il rafforzamento delle fondamenta per ducati 2.220 ed altri 1.056 per sistemare i muri con catene in ferro e rifare i solai in canne e calce. Nel maggio 1823, i lavori non erano stati ancora autorizzati perché mancava la copertura finanziaria, ritardando ad arrivare il rimborso del ramo Spedalità militare del Reale Governo. Nel giugno 1824, furono autorizzati i lavori soltanto per la porzione riguardante i muri ed i solai (inizio lavori nel settembre 1824)18. Negli anni 1823-1824, l’Ospedale Santa Marta fu in preda ad una crisi economica seria, denunciata più volte all’Intendente. Dovendo ricoverare i militari austriaci e napoletani che avevano fronteggiato i moti rivoluzionari del 1820-21 (all’inizio del 1822 erano ben 49, mentre si ridussero a 36 l’anno successivo), per lo più affetti da sifilide, la Rettoria dell’ospedale chiedeva continuamente i rimborsi delle spedalità arretrate (24 grana napoletani al giorno per individuo). Dal settembre 1818 al dicembre 1822 furono vantati crediti per circa 3.000 ducati. Le sofferenze economiche erano aggravate dalla necessità di provvedere ai lavori per riparare i danni del terremoto. I ricoverati giacevano in letti di tavole e trespidi di ferro nei cameroni con le aperture esterne prive di vetrate, mancando di coperte di lana, lenzuola e paglioni. In aggiunta, il numero dei ricoveri era aumentato perché sia l’Intendente che il Commissario di Polizia inviavano continuamente in ospedale detenuti delle pubbliche prigioni e gruppi di meretrici per le necessarie cure. Il rettore, a nome degli amministratori, si lamentava che, soprattutto le seconde, toglievano il posto ad altri infermi poveri che languivano alla porta dell’ospedale e che quella prassi era contraria alle istruzioni del pio Fondatore17. Dai Comuni di residenza dei detenuti, inoltre, la Rettoria vantava altri forti crediti di spedalità. 

1829, attivato il servizio di farmacia nell’Ospedale Santa Marta, diretto dal perito farmacista don Michele Marcenò. La farmacia fu dotata di un torchio per spremere l’olio di mandorle e quello di ricino. Il torchio subì una riparazione nel 1851 per la quale si spesero onze 5 e tarì 12. Nel 1839, sotto la Rettoria del baronello Bicocca, la farmacia fu rinnovata mediante l’acquisto di mobili e suppellettili e trasferita in altro locale più idoneo (ex sala anatomica di Euplio Reina). Ogni mattina, in presenza di un chirurgo, il farmacista dispensava gratuitamente i medicamenti ai poveri affetti da malattie veneree o chirurgiche che non potevano essere ammessi in ospedale per mancanza di posto15.

1837-8, l’Intendenza borbonica, pagando altre 26 onze, affittò per i Tribunali, cioè per l’Archivio dello Stato civile ed il Giudicato d’Istruzione, altri locali consistenti nelle stanze pigionate in precedenza all’aromataro, godendo anche dell’uso promiscuo della Cappella. Nel contempo fu avviata la modifica del parterre, convertendolo in un locale di deposito a disposizione dell’Archivio dello Stato Civile. Nel 1843-4, la Cancelleria criminale e la Procura generale si insediarono in una sala clinica che prospettava in via Stesicorea, nella sagrestia della chiesa sacramentale, in altre tre stanze superiori a ponente, due a mezzogiorno ed un salone, locali rimodernati, sin dal 1839, dagli architetti Sebastiano Lao e Gaspare Nicotra Amico. La pigione introitata dall’Amministrazione dell’Ospedale aumentò di altre 72 onze all’anno.
 
Nello stesso periodo, gli altri ospedali della provincia, tutti più piccoli del San Marco e dipendenti dal Consiglio Generale degli Ospizi, erano divisibili in due categorie, quelli paragonabili all’Ospedale chirurgico Santa Marta e quelli di modestissima dimensione8. I primi erano: Spedale di Acireale, spedale di Castiglione, spedale San Calogero di Nicosia. I secondi erano: spedale di Adernò, Bronte, Paternò (detto del Salvatore), Giarre (detto di San Giovanni), Acicatena, Linguaglossa, Randazzo, Caltagirone (detto dello Spirito Santo o dei Fatebenefratelli), Licodia, Mineo, Vizzini, Assoro, Agira (detto di San Lorenzo) e Leonforte.
 
1839, da quell’anno in poi svariati furono i progetti per ridisegnare l’ospedalità cittadina. Un primo progetto (1839), affidato al professor Mario Musumeci, riguardò la fusione dell’Ospedale San Marco nel Santa Marta. Esso prevedeva che gli ammalati avrebbero dovuto lasciare palazzo Tezzano in modo che quest’ultimo fosse totalmente acquisito dagli Uffici pubblici provinciali od occupato, come un’unica struttura, dal Reclusorio delle Proiette e dal Reale Albergo dei Poveri. Contro l’accorpamento dei due ospedali si oppose il protomedico Antonio Di Giacomo che, in una lettera all’Intendente ed al Consiglio Generale degli Ospizi dell’11 aprile 1839, consigliava un sito più salubre per la riunificazione degli Ospedali, possibilmente in un luogo fuori le mura antiche, nelle chiuse dietro il convento e la chiesa del Carmine o al piano San Domenico, vicino al bastione degli Infetti19. Negli anni 1841-42, l’Intendente Parisi più volte espose al Ministero degli Interni ed al Consiglio degli Ospizi un progetto che prevedeva la trasformazione dell’intero edificio del San Marco in uffici per l’Intendenza, il Tribunale civile, la Gran Corte civile, la Cancelleria, mentre l’Ospedale avrebbe dovuto essere trasferito nel “luogo detto delle chiuse a tramontana della chiesa dei Carmelitani ed ivi sarà traslocato anche l’Ospedale chirurgico Santa Marta così che si abbiano ambidue gli Spedali riuniti”.

L’estimativo del professor Musumeci per questa nuova struttura fu di ducati 43.369,98, per la copertura del quale si cominciarono a destinare nello Stato Discusso della Provincia ducati 5.600 annui. Dal professor Musumeci e dall’architetto Gaspare Nicotra Amico, su incarico dell’Intendenza dopo il Sovrano Rescritto del febbraio 1842, venne inoltre periziato palazzo Tezzano e per ben due volte il terreno delle famose chiuse (meglio terreno lavico) di proprietà del cavalier Francesco Tornabene19. Gli avvenimenti politici del 1848-49 impedirono l’avanzamento del progetto e soltanto nel febbraio 1853 si tornò a parlare di un suo possibile adempimento. Nel marzo 1860, dopo la morte di Mario Musumeci, la realizzazione di un nuovo progetto per il grande ospedale medico-chirurgico fu affidata all’ingegner Mario Di Stefano che presentò un estimativo di ben 126.542,13 ducati. Con l’avvento dell’Unità d’Italia e dei nuovi governanti il progetto fu definitivamente accantonato.

1851, la fabbrica dell’Ospedale Santa Marta sembrava in quel momento più un edificio privato che un’opera pubblica. In quell’anno maturò l’idea di costruire un terzo piano; le fondamenta erano però deboli. Il rettore Melchiorre Zappalà18 scrisse all’Intendente che la perizia per realizzare quel progetto prevedeva 166 onze di spesa. Nel disegno, inoltre, era indicato un corpo centrale su cui collocarvi un orologio pubblico18, secondo la moda del tempo. Il progetto non fu mai realizzato pienamente. Così come trovò la fiera opposizione dello stesso rettore Zappalà il contemporaneo progetto dell’Intendenza di ricoverare nell’ospedale tutte le meretrici inferme della provincia. Il nosocomio non era, infatti, né provinciale né comunale ed era sorto per ben altri scopi. Esso poteva ricevere infermi indigenti soltanto catanesi, la cura ed il mantenimento dei quali era interamente a suo carico. A questa regola, nel 1857, erano state fatte delle deroghe che prevedevano il pagamento delle spese per degenti non catanesi da parte dei Comuni di residenza, in ragione di 15 grana napoletani al giorno per individuo13. Nello Statuto organico e nel Regolamento di Amministrazione e Servizio interno del 29 agosto 1874 fu poi definitivamente contemplata la possibilità di accogliere a pagamento altri infermi o non veramente poveri o non catanesi. Essi sostituivano le Istruzioni per il servizio interno dell’Ospedale S. Marta, compilate ed emanate nel 1829 dal rettore Carlo Pio Zappalà Gemelli20, dove erano descritti minutamente i compiti delle varie figure ospedaliere, dall’infermiere maggiore ai chirurghi.
La conflittualità con l’Amministrazione provinciale e comunale fu comunque una costante non soltanto di tutto il periodo borbonico ma anche di quello post-unitario. Essa aveva origini lontane. Nel 1806, ad esempio, per ordine del Senato cittadino, l’edificio dell’Ospedale era servito come alloggio delle truppe britanniche antinapoleoniche di stanza a Catania e da queste lasciato, due anni dopo, in condizioni rovinose. Gli ammalati, nel contempo, furono evacuati nella ex Casa degli Esercizi Spirituali dei Gesuiti. Ferdinando I ordinò quindi al Senato di restituire l’edificio ai Rettori, imponendo le necessarie riparazioni. Nel 1810, inoltre, vi fu un precoce tentativo del Senato catanese di unificare il Santa Marta con l’Ospedale San Marco, progetto che ovviamente trovò l’opposizione dei sacerdoti-operai e della stessa Deputazione degli Ospedali13

1874, Dispensario policlinico nell’ex convento di Sant’Agata La Vetere.
 
1875, Statuto organico dell’Opera Pia Villermosa, fondata da Emanuele Tedeschi Bonadies
 
1877, l’Ospedale Santa Marta era così descritto in un inventario15: piano terra, guardaroba, camera dell’economo, camera del rettore contenente il grande quadro della “Resurrezione di Lazzaro” di Francesco Gramignani Arezzi, farmacia, cucina. 1° piano, corsia grande per le donne con 14 letti, contenente quadri di alcuni filantropi; stanza grande per uso delle donne con sedia chirurgica; guardaroba delle donne; sala oftalmica con 8 letti. 2° piano: due stanze singole per “persone civili”(paganti); corsia grande per gli uomini con 22 letti, contenente quadri di alcuni filantropi;

corsia della Clinica chirurgica con 11 letti; gabinetto di studio per la Clinica chirurgica con stanzino da toilette e guardaroba.
3° piano: camera per cancrenosi con un posto letto. Nello stesso anno cinque suore di carità entrarono per la prima volta al servizio dell’Ospedale.
All’inizio di maggio muore il professor Euplio Reina. È indubbiamente il personaggio-chiave per leggere avvenimenti cinquantennali dell’Ospedale Santa Marta in pieno Ottocento. Con il suo ingresso sulla scena ebbe inizio una rivoluzione culturale, la pratica della chirurgia fondata su più solide basi anatomiche; la sua uscita di scena permise l’avvio di un’altra rivoluzione, la pratica della chirurgia su basi igienistiche ed anatomo-patologiche avviata dal suo “straniero” successore Clementi. In questa sede, piace ricordare soltanto alcuni inediti e plebei aspetti del suo carattere che, invece, gli apologeti d’ufficio suoi contemporanei ebbero soltanto a celebrare, com’era consuetudine21. Euplio Reina chiedeva spesso alla Commissione sanitaria permessi, di 29 giorni cadauno, per allontanarsi dall’Ospedale. Così, nel marzo ed aprile del 1839, si recò a Palermo e Napoli per suoi interessi e tornò a farlo nel giugno 1841, quando compì un altro viaggio a Napoli per “affari spettanti la sua professione” dopo che, nel pomeriggio del 12, aveva tenuto una lezione pubblica di Clinica chirurgica sulla cistotomia e la litotripsia. Per l’occasione, la Rettoria aveva speso onze 7,30 per la stampa e la distribuzione degli inviti, per il trasporto delle sedie, l’acquisto della cera per l’illuminazione ed altre minute incombenze18. Nel 1851, Reina chiese un altro congedo per “godere del beneficio dei bagni oligominerali” e così pure il 20 aprile 1855, per curarsi di una “flogosi alla laringe ed ai visceri addominali”17.
Nel giugno 1836, al dottor Reina, come chirurgo primario con l’obbligo di assistenza agli ammalati giorno e notte, era stato assegnato gratuitamente un quartino nell’ospedale (oltre all’abitazione del chirurgo primario era previsto un alloggio per il medico primario e per il cappellano), da lui ammobiliato ed occupato inizialmente con la famiglia fino al 1860. Quell’anno il quartino gli fu requisito, nonostante le sue ferme proteste, perché non vi dimorava più permanentemente mentre l’Ospedale, non avendo un servizio di pronto soccorso, aveva necessità di un chirurgo dimorante anche di notte. Il rettore, in quell’occasione, propose al Consiglio degli Ospizi l’istituzione della figura del chirurgo di guardia notturna, senza soldo ma con alloggio gratuito.
Durante i moti rivoluzionari del ’48, il professor Reina fu nominato Direttore della Sanità militare e, dietro una sua richiesta al Comitato rivoluzionario catanese, ebbe raddoppiato lo stipendio annuo a 20 onze. Tra l’ottobre 1848 e l’inizio di aprile 1849, la spedalità apprestata ai militari infermi delle truppe nazionali era costata oltre 210 onze, pagate solo in parte dal Governo Nazionale siciliano tramite il Comitato di Guerra catanese13. Essa generò un contenzioso, di cui non conosciamo l’esito, che si riversò inevitabilmente sul governo sabaudo dopo l’Unità.
Nel settembre 1849, al restaurato governo borbonico, in considerazione dell’aumento del lavoro per la presenza di molti militari infermi e spalleggiato dal nuovo rettore Melchiorre Zappalà, il professor Reina chiese la conferma dell’aumento che gli fu accordato dal Dipartimento dell’Interno, oltre ad una gratificazione di 150 ducati da parte del Luogotenente Generale per i servizi straordinari resi ai militari napoletani rimasti in degenza a Catania. Per ordine del Principe di Satriano, comandante della squadra destinata alla spedizione in Sicilia, nell’Ospedale erano stati curati, nell’arco di un anno, più di mille soldati regolari, oltre a prigionieri di guerra catanesi e francesi. Nel luglio 1849, i paesani ricoverati erano 24, mentre i militari 48; la proporzione era invertita rispetto al maggio 1835, quando gli infermi civili erano 29 ed i militari 18, di cui 9 con lue. Il ricovero dei militari, per lo più affetti da oftalmie e sifilide, a parte i feriti, creò problemi logistici ed economici per la loro spedalità e mantenimento, essendo le prestazioni da erogare più onerose di quelle normalmente rivolte ai paesani. Al 1° dicembre del 1850 erano presenti nell’Ospedale 126 malati, di cui 5 sole donne, 20 paesani e 101 militari.
Con una lettera dove chiamò i patrioti catanesi, con incurante voltafaccia ed opportunismo, “orda di barbari durante la esecranda rivoluzione del malaugurato gennaio 1848” da cui, sosteneva, aveva egli difeso i soldati delle regie truppe ricoverati nell'ospedale, il professore Reina chiese, inutilmente, all’Intendente ed al Reale Governo che gli venisse accordata la cattedra di Clinica chirurgica, di cui era professore provvisorio senza soldo da nove anni (maggio 1841), dispensandolo dal concorso13.

1876-78, trasferimento del San Marco alla chiusa del Tindaro, antica proprietà del Monastero dei PP. Benedettini di San Nicola. Il nome fu cambiato in “Ospedale Vittorio Emanuele II”. I lavori di costruzione iniziarono nel giugno 187815

Il luogo dell’Ospedale Santa Marta è rimasto immutato nei due secoli e mezzo della sua storia che, tutto sommato, può considerarsi lineare. Per l’Ospedale San Marco, invece, la rilettura del percorso crono-topologico sopra descritto, sebbene in gran parte noto, suscita molti interrogativi. Da quello sull’origine incerta dell’Ospedale, a quello sulle motivazioni di alcuni spostamenti dello Stabilimento nel tessuto urbano. Nel secondo ’600, quando e perché l’Ospedale si muove dal centro cittadino?

L’operazione di ingegneria sanitaria ante litteram deve aver avuto motivazioni forti che oggi possiamo soltanto immaginare perché non abbiamo ancora riscontri documentali. Esse possono individuarsi nella presenza del confuso mercato antistante alla casa degli infermi, così frequentato da animali da macello o da trasporto, nell’inosservanza di misure igieniche nella piazza della fiera lunare che doveva necessariamente produrre una considerevole quantità di sostanze inquinanti e malsane, nell’epidemia di tifo petecchiale di quei tempi, nell’esercizio del sezionamento di cadaveri (teatro anatomico) all’interno dell’Ospedale, nella crescente presenza del ceto nobiliare nei palazzi dei dintorni che induceva i proprietari (cioè l’élite cittadina) a denunciare l’ammorbamento dell’aria alle autorità. Certo è che la permuta con il monastero di Santa Lucia, abbandonato dalle monache dopo la colata lavica del 1669, fu perorata dal viceré don Francesco Bonadies (1679-1687), conte di Santo Stefano, sicuramente stimolato dal partito universitario-vescovile che nel 1682, tre anni dopo la riforma universitaria varata dallo stesso viceré, lamentava l’insufficienza dei locali per i numerosi studenti che frequentavano lo Studio catanese. Ancora nel giugno 1684, gli amministratori dell’Almo Studio appaltavano lavori di manutenzione straordinaria di tetti e banchi in legno per gli studenti nei locali dove erano tenute le lezioni di tutte le cattedre, affittati per 24 onze annue dalla proprietaria donna Maria Rizzari e La Valle, vedova di don Giovanni Rizzari [11].

E poi, perché si verificò il suo declino, anziché il suo rafforzamento, nel primo ’800, durante la permanenza a Palazzo Tezzano? Quali furono le cause della massiccia infiltrazione dell’apparato burocratico-giudiziario nel corpo vivo del nosocomio? Perché i giudici accettarono di condividere stranamente con ammalati, anche contagiosi, e con i macabri attori del teatro anatomico lo stesso recinto ? Perché la colpa, il delitto e la malattia, il vizio e la sofferenza furono spinti a recitare nella storia sullo stesso palcoscenico ? Sono tutti interrogativi che attendono una risposta.
Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale i presidi ospedalieri Vittorio Emanuele, Ferrarotto, S. Bambino e S. Marta nel 1983 furono accorpati nella USL 35 di Catania. Successivamente, a seguito della riforma sanitaria dei primi anni Novanta, con legge regionale n. 34 dell’11 Aprile 1995 i presidi ospedalieri della ex USL 35 confluirono in una unica Azienda Ospedaliera, sede del triennio clinico della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Catania. Con l’approvazione, nel 2003, del protocollo d’intesa tra Regione Siciliana e Università, l’Azienda è stata infine individuata tra le strutture integrate con l’Università, assumendo l’attuale configurazione istituzionale di Azienda Ospedaliera Universitaria (AOU).

1970-2006, Policlinico universitario di Santa Sofia.

1983-89, USL e primo monoblocco dell'ospedale Cannizzaro

2001, secondo monoblocco dell'ospedale Cannizzaro

2004, nuovo ospedale Garibaldi di Nesima

 

 

NOTE

1. Archivio Storico Ospedale San Marco, Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele II, Catania, Giuliana Antica. 2. Archivio Storico Ospedale San Marco, Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele II, Catania, Atti diversi non numerati. 3. G. Sorge, Lineamenti di storia dell’ospedalità civile catanese, Catania 1940. 4. G. Policastro, Catania prima del 1693, SEI 1952. 5. G. Dato, La Città di Catania, 1983. 6. Archivio Storico Diocesano di Catania, Fondo Opere Pie, vol. 13; Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Edizioni Dehoniane Bologna, 1996, pp. 689, 740, 788-89. 7. Liliane Dufour, Henri Raymond, 1693, Catania, Rinascita di una città, D. Sanfilippo editore, 1992. 8. Archivio di Stato di Catania, Intendenza borbonica, Sanità, vol. 872. 9. Archivio di Stato di Catania, (Regesti a cura di), Horribilis terremotus eventus in die 11 ianuarii 1693, 1993-94, vol. 1, p. 90. 10. Archivio di Stato di Catania, Intendenza borbonica, Opere pubbliche, vol. 1358. 11. Archivio Storico Diocesano di Catania, Fondo Università, vol. 72, fasc. 8. 12. Archivio Storico Diocesano di Catania, Fondo Opere Pie, vol. 14, fasc. 2. 13. Archivio di Stato di Catania, Regia Prefettura III, Opere Pie, elenco 2, bb. 38 e 50. 14. Archivio di Stato di Catania, Consiglio Generale degli Ospizi, Opere Pie e Confraternite, elenco 9, bb. 15 e 16. 15. Archivio di Stato di Catania, Regia Prefettura III, Opere Pie, elenco 3, b. 4, fasc.16. Nell’inventario del 1874 dei beni mobili ed immobili dell’Ospedale Santa Marta, richiesto dal Prefetto in applicazione dell’art.8 della legge sulle Opere Pie del 3 agosto 1862, è riportato che esistevano conservati nell’Archivio due antichi volumi di scrittura, oggi perduti, contenenti copie degli atti di fondazione e documenti che comprovavano le proprietà, le rendite e le servitù. In quell’Archivio erano anche custoditi altri due antichi volumi di scrittura riguardanti l’eredità del sac. Vincenzo Calì. 16. Ibidem, elenco 1, b. 37, fasc. 272-278. 17. Archivio di Stato di Catania, Consiglio Generale degli Ospizi, Opere Pie e Confraternite, elenco 9, b. 15/3. 18. Ibidem, elenco 9, b. 15/2. 19. Ibidem, elenco 9, b. 47/2. 20. Ibidem, elenco 9, b. 15/4. 21. Atti Accademia Gioenia, serie terza, tomo XII, pp. XXVIII-XCV, Catania 1878. 22. Tra il 1783 ed il 1785, alcuni mastri catanesi si impegnano a “fabricare un muro a crudo pilastrato...per ragione di piedamenti…” (agli Atti del notaio Santo Strano, 01.03.1783, Archivio di Stato di Catania, ASC, 1° ver. not., b. 4081, c. 483 e seg.), a “fare uno scavo di pedamenti in detto reclusorio” (agli Atti del notaio Santo Strano, 29.12.1783, ASC, 1° ver. not., b. 4082, c. 284 e seg.), di “cavare tutti i piedamenti che dover farsi per la nuova fabrica di detto reclusorio…secondo disporrà detto reverendo Scammacca...” (agli Atti del notaio Santo Strano, 28.09.1784, ASC, 1° ver. not., b. 4083, c. 74 e seg.), a vendere al reclusorio “tot illam quantitatem tegularum laterum… pro eius proprio aedificio necessariorum, consignandorum a mense aprilis p.v. 1785…” (agli Atti del notaio Santo Strano, 03.02.1785, ASC, 1° ver. not., b. 4083, c. 355 e seg.). Le informazioni riportate nella presente nota mi sono state gentilmente fornite dall’ing. Eugenio Magnano di San Lio. 23. Toscano Deodati can. Alfonso, L’Ospizio di maternità e la chiesa del S. Bambino di Catania, Catania 1950. 24. Archivio di Stato di Catania, Regia Prefettura III, Opere Pie, elenco 3, n.ordine 4. 25. Archivio di Stato di Catania, Consiglio Generale degli Ospizi, Opere Pie, elenco 9, vol. 12/1-13. 26. Archivio di Stato di Catania, Consiglio Generale degli Ospizi, Opere Pie, elenco 7, vol. 4, conti. 27. Archivio Storico Diocesano, Fondo Opere Pie, carp. 9 e 10. 28. A. Ioli Gigante, Le città nella Storia d’Italia, Messina, Laterza, Bari 1986.

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